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Polvere, naftalina e un armadio che non è poi così grigio


  Spett. Redazione,

dopo aver letto la “Nota della Settimana n.29” e dopo averci riflettuto, con la testa e con la pancia, ho deciso di condividere con voi e con i vostri lettori alcuni pensieri e qualche suggestione.

La prima impressione che ho avuto è stata quella di un vago senso di desolazione mista ad un certo senso di irritazione, come quando si constata che alcune cose sono immutabili, sempre uguali a se stesse. L’apertura della Nota ha scatenato questi stati d’animo, con la descrizione - forse in stile giornalistico, che non appartiene a me e alla cultura professionale ed umana che ho sposato – di una condizione anziana tesa a mettere in evidenza solo gli aspetti tristi, abbandonici e depressivi di un’età della vita che è fatta di molte altre cose. Mi chiedo sempre, in modo da stare all’erta prima per onestà e poi per giustizia, se quando descrivo con pietismo un altro o un fenomeno sociale, se tale senso serva a me o sia una fedele descrizione della realtà che ho di fronte. Il rischio è quello di raccontare, e raccontarmi, una illusione che non giova all’altro, ma solo al mio narcisistico senso di onnipotenza: “lui ha bisogno, poverino, ed io ho la chiave per aiutarlo!”. A questo proposito, forse con un po’ di irriverenza invito qualche associazione cittadina a riflettere sulla sua cultura del servizio.

Sul fatto che gli anziani hanno grandi bisogni nessun dubbio, ma che tutti siano poverini… Da anni, come psicologo, mi occupo di anziani e di Terza Età, sia sul versante clinico – per intenderci demenze e istituzionalizzazioni – che su quello sociale, e la conoscenza che ho di questa stagione della crescita umana ha ancora molto da approfondire.

Quando si tratta di persone, penso, occorra come prima cosa essere in grado di compiere un bagno di umiltà – come dicevo sopra per altri aspetti – per non incorrere, e concorrere, nella costruzione di falsi stereotipi sociali. Infatti, per meccanismi poi non così complicati, se iniziamo a chiamare un fenomeno con un nome, o ad attribuire certe caratteristiche ad un fenomeno sociale o ad una categoria di persone, finisce che quel fenomeno o quella categoria di persone, a lungo andare, assuma proprio quelle caratteristiche o quel nome che, magari, descrive qualcosa di diverso. Dagli stereotipi ai pregiudizi, poi, il passo è breve e spesso pericoloso. Tutto questo per dire - e per dirmi - che usare la desolazione, la tristezza, la passività, la solitudine per descrivere “gli anziani” serve a poco, soprattutto se si vuole fare qualcosa per sostenere ed aiutare anziani che si trovano in stato di solitudine, che sono tristi, sconsolati e passivi.

Qualche riga sopra ho usato un’espressione particolare: “stagione della crescita umana”. Molti pensano che i processi di crescita siano propri solo dei bambini, degli adolescenti ed, al massimo, dei giovani adulti, ma non del resto delle categorie. In realtà, penso che un essere umano cresca ed impari “dalla culla alla tomba”, per dirla con un grande studioso inglese, e che anche la vecchiaia possa essere una stagione ricca di apprendimenti e nuove realizzazioni. In primis penso che un vecchio – termine che ha l’odore della saggezza e non solo un senso spregiativo – abbia la possibilità di riguardare al percorso fatto fino a questo momento con occhi diversi, non più oppresso, ad esempio, da grandi sensi di responsabilità dovuti al suo ruolo produttivo o a quello di genitore; penso che abbia la possibilità di gestirsi la vita scegliendo altri principi e altre prospettive.

Qualcuno potrà dire che queste sono belle parole ma che poi, con una pensione misera, i problemi diventano di sopravvivenza pura piuttosto che di filosofia spiccia. L’obiezione sarebbe non solo adeguata, ma accolta con positività perché chiamerebbe in causa il ruolo della comunità. E’, infatti, la comunità nel suo insieme che può intervenire là dove il singolo vacilla, sostenendolo ed aiutandolo attraverso percorsi di cambiamento culturale e attraverso azioni di sostegno sociale e materiale. La prima e più urgente cosa da fare è aiutare la comunità ad intraprendere un percorso che la porti prima a realizzare di possedere una parte fatta di anziani, poi a comprendere che queste persone hanno dei bisogni propri, primo fra tutti quello di essere riconosciute. Il riconoscimento dei bisogni e delle caratteristiche diventa quindi la priorità che una comunità deve porsi in relazione agli anziani, ma credo lo debba fare attraverso un cambio di prospettiva, attraverso un visione positiva dell’anziano che possa anche comprendere casi di sofferenza e di profondo bisogno di aiuto. La prospettiva penso che debba essere quella di uno scambio reciproco, intergenerazionale, dove è la comunità ad avere bisogno di sostegno e di aiuto nel ritrovare il senso dei legami e delle relazioni, anche con i suoi membri più vecchi.

Per quel che riguarda poi il bisogno, quello urgente, per questo esistono i Servizi Sociali, come quell’SOS Estate che il Comune organizza da anni e che, nel suo piccolo, riesce anche a portare a casa qualche risultato. Anche loro però, da soli, non bastano: occorre che le Istituzioni programmino delle politiche sociali rivolte alla terza età che siano in grado di promuovere un progetto dedicato alla comunità e ai suoi anziani, fatto di servizi tesi al sostegno della non autosufficienza o della domiciliarietà, ma soprattutto teso a costruire una cultura della presa in carico collettiva, della responsabilità diffusa e orizzontale, comunitaria appunto. Le politiche sociali in favore degli anziani dovrebbero tendere a sostenere le famiglie, a far progredire la rete dei servizi verso il concetto di “prossimità”, a promuovere la concezione di un volontariato che sia di qualità e che abbia aspetti di professionalità, e, infine, spingere la cultura comunitaria verso l’intergenerazionalità.

Concludo immaginando che lo stile introduttivo con cui avete aperto la Nota della Settimana abbia avuto un chiaro intento provocatorio, visto poi il proseguo dell’articolo. Leggo che condividiamo gli stessi obiettivi e questo non può che rendermi soddisfatto, soprattutto perché, forse, la cultura sta iniziando a mettersi in discussione.

Grazie e buon lavoro.

Fabiano Sarti
 

CernuscoInsieme non si assume nessuna responsabilità legata al presente comunicato

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