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“Lampada ai miei passi la tua parola, luce al mio cammino”

 

Più volte ho avuto occasione di ascoltare direttamente dal card. Martini, negli anni in cui mi è stato fatto il grande dono di collaborare con lui come segretario, questo suo desiderio di voler scritto sulla propria tomba le parole del Salmo 118 (119): “Lampada ai miei passi la tua parola, luce al mio cammino”.

In un viaggio a Gerusalemme, insieme ai giovani diaconi della diocesi che sarebbero poi diventati presbiteri per la chiesa di Milano, il cardinale mi portò pure a vedere questa sua tomba, nel cimitero cristiano presso San Pietro in Gallicantu, acquistata insieme ad altri loculi mentre era rettore al Pontificio Istituto Biblico. Lì, nella terra del Signore Gesù, avrebbe voluto riposare in attesa della risurrezione. Aggiunse anche, però, che il suo posto era già occupato, perché offerto a un confratello gesuita, di passaggio a Gerusalemme e morto proprio nella Città Santa.

Ora il suo pellegrinaggio terreno si è concluso e finalmente può contemplare faccia a faccia il volto di quella parola di Dio incarnata per gli uomini che è il Signore Gesù. Me lo immagino così, nella Gerusalemme celeste, di cui quella terrena è semplicemente un anticipo.

Sono contento di averlo potuto salutare in questi ultimi giorni. Avendo sentito dell’aggravarsi della sua malattia, ho chiesto di poterlo incontrare e così, il 22 e il 29 giugno scorso, in due diverse occasioni, ho avuto la possibilità di intrattenermi brevemente con lui, ascoltando a fatica le parole che sempre più debolmente, ma lucidamente, riusciva a pronunciare. Ancora una volta ho potuto ammirare in lui un grande uomo e un grande cristiano, capace di un profondo e attento ascolto delle persone che gli stanno di fronte – chiunque esse siano – e desideroso di offrire solo il Vangelo come strumento per affrontare ogni situazione della vita, anche quelle più difficili e dure da accettare.

Poco più di un mese fa, poi, il 13 luglio, giorno del suo 60° anniversario di ordinazione sacerdotale, ero presente all’Eucaristia che il card. Martini ha celebrato nella piccola parrocchia di Chiesa in Valformazza, con pochi altri sacerdoti, tra cui alcuni dei suoi segretari che lo avevano assistito in arcivescovado durante i suoi 22 anni e mezzo di presenza in Diocesi. Nella Messa, presieduta dal superiore della casa dei Gesuiti di Gallarate, dove il cardinale si era ritirato, Martini ha ringraziato il Signore per il dono della fedeltà, concessogli nei lunghi anni di sacerdozio, e si è detto desideroso di attendere ora solo l’ultimo salto, quello che lo avrebbe condotto nelle mani di Dio.

A seguire, ci siamo intrattenuti per un pasto fraterno presso le cascate del Toce e poi lo abbiamo salutato, mentre riprendeva il suo soggiorno estivo. È stato, per me, l’ultimo incontro. Poi la notizia della sua morte, mentre passavo proprio nei pressi di Gallarate, nel pomeriggio di venerdì 31 agosto, per celebrare le nozze di un amico.

Come per molti, Martini è stato per me un padre, non solo nel sacerdozio – perché mi ha ordinato prete insieme a numerosissimi altri giovani della diocesi – ma anche nella fede e nell’umanità. Padre e fratello insieme, compagno di viaggio su una strada illuminata solo dalla Parola e sorretta dal dono dell’Eucaristia. Non posso dimenticare, negli anni vissuti accanto a lui, il suo gesto di porre il Lezionario, il libro delle letture bibliche, sulle ginocchia, durante la celebrazione quotidiana della Messa nella cappella privata dell’Arcivescovado, e di innalzare a Dio, a partire dalla Parola ascoltata, con parole semplici, personali e profonde, le invocazioni e le preghiere per i bisogni della Chiesa e del mondo intero.

Questa Parola ora continua la sua corsa, inarrestabile, sostenuta ancora di più da quell’amore che il card. Martini le ha sempre attribuito, così da farla amare allo stesso modo nel cuore di tutti. È questa la sua eredità più grande, che non ci sarà tolta, in attesa della beata speranza, “quando – come egli disse nell’omelia di saluto alla Diocesi dieci anni fa, l’8 settembre 2002 – tutti saremo palesemente una cosa sola nel mistero del Padre”. E sento particolarmente vere ora quelle parole che egli stesso pronunciò nella veglia diocesana di Pentecoste dello stesso anno, parafrasando Giovanni 16,22-23: “Sono certo che se anche tra qualche tempo dovrò lasciarvi, un giorno ci vedremo di nuovo e il nostro cuore si rallegrerà e nessuno ci potrà togliere la nostra gioia!”.

Grazie, carissimo cardinale.

don Ettore

 

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