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Agenda pastorale 2011/2012: verso il Milano Family 2012 

 

Sull'agenda pastorale 2011 – 2012. Verso il Milano Family 2012

 

La celebrazione del VII incontro mondiale delle famiglie che si terrà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno 2012 ci invita a riflettere su tre grandi temi: la famiglia, il lavoro, la festa.

Sono temi che conosciamo bene, alcuni di noi direbbero benissimo, fin troppo. Eppure, ogni volta che ci si offre la possibilità di riflettere su questioni che crediamo di conoscere meglio, è facile cadere nella trappola della retorica e dei luoghi comuni.

Sembra paradossale, ma non è semplice riflettere sugli aspetti della nostra vita che ci appaiono pìù noti; è come se la frenesia e la routine quotidiana ci impediscano di fermarci un attimo per attuare una riflessione sul senso vero della nostra vita. Una riflessione serena sullo stile della nostra vita familiare, sul valore che riconosciamo al nostro lavoro, sulle occasioni settimanali di riconciliazione con Dio attraverso l'ascolto della Parola.

Spesso il ritmo frenetico che caratterizza le nostre vite, più che una conseguenza innescata da eventi esterni, sembra essere in realtà solo un modo per sfuggire al nostro senso di incompiutezza. La “corsa” e l'impegno a tutti i costi appaiono in realtà un modo per colmare il nostro senso di vuoto; sembra un modo per sfuggire all'appuntamento con la nostra coscienza.

Nella società odierna è più facile correre che fermarsi.

Questo grande evento ci invita a condividere in un rinnovato spirito di fratellanza i valori della famiglia, del lavoro e della festa. Accogliamo quindi, ancor prima delle famiglie che accetteranno l'invito del Santo Padre, l'invito alla riconciliazione all'interno delle nostre famiglie, nella dimensione sociale e lavorativa e soprattutto con il nostro Padre misericordioso.

 

Sulla Famiglia

Appare evidente che nel corso del secoli i concetti di famiglia, lavoro e festa si siano contraddistinti con peculiarità e connotazioni diverse.

La Famiglia intesa come fondamento della società, come cellula elementare di un organo più grande: la comunità cristiana mondiale. Nell’agenda appare sovente questa dualità: dalla dimensione locale a quella globale. Ce lo ricorda San Paolo nella Lettera agli Efesini sull'Unità della Fede: “un solo corpo e un solo spirito, così come siete stati chiamati a una sola speranza,

quella della vostra vocazione, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo; un solo Dio e Padre di tutti, agisce per mezzo di tutti e dimora in tutti” (Ef 4).

E sulla universalità del messaggio cristiano è il discorso di Pietro negli Atti degli Apostoli a darci conferma (Discorso di Pietro, Ap 10, 34) “In quei giorni. Pietro prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti”.

L'incontro mondiale della famiglie ci proietta verso questa dimensione globale della fede in nome di una universalità del cristianesimo. Ma con quale spirito?

Il nostro arcivescovo il 27 ottobre scorso, in occasione della visita nella VII Zona Pastorale, durante l'omelia della santa messa pomeridiana celebrata nella Basilica di Santo Stefano a Sesto San Giovanni, ha ricordato la simpatia delle prime comunità cristiane. Ne abbiamo testimonianza negli Atti degli Apostoli sulla comunità di Gerusalemme: «Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione dei pane e delle preghiere.

Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. Intanto il Signore aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At 2, 42-48).

L'arcivescovo ha ricordato, in occasione dell'incontro serale presso la sala Manzoni con i laici rappresentanti delle parrocchie e delle comunità pastorali, che tale simpatia è un bene prezioso che le comunità tutte debbono custodire e in molti casi costruire. Una simpatia edificata sulla fede, sulla speranza e sulla carità.

L'intervento di Guido Brovelli ha manifestato tuttavia il senso di incompiutezza di fronte all'attività e alla vivacità della comunità cernuschese. Si fa tanto. Molte le attività, le iniziative, gli impegni, ma spesso sembra che non basti. Sembra che tutto ciò, comunque, non riesca a colmare il senso di Dio che prova le nostre coscienze.

Non è difficile essere d'accordo con Guido. Ma allora cosa può fare ognuno di noi nel suo piccolo?

La straordinaria semplicità e forza contenuta nelle parole di San Luigi Guanella ci invitano ad una forma di carità diversa. Egli afferma ne la Divina Provvidenza (1896): “Figli della carità, vi corre l’obbligo di essere costantemente caritatevoli. Non parlo della carità di borsa: questa è degli agiati e dei ricchi: intendo dire della carità della persona, che si può praticare anche da noi, perchè tutti possiamo fare qualcosa per gli altri. La carità di persona consiste nel sapersi prestare volentieri e

con amore ai bisogni degli altri. E’ una carità assai accetta al Signore, dovendo noi, per esercitarla, fare violenza a noi stessi e sacrificare un poco della nostra libertà, dei nostri gusti, dei nostri comodi, per amore del prossimo sofferente. E qui non c'è mai qualcuno che non sia prossimo sofferente? Prossimo non provato da Dio con la sventura? Quanto bene qui potete fare! Quanti meriti acquistarvi con la carità di persona!”.

L'incontro delle Famiglie del 2012 può rappresentare un'occasione privilegiata per sperimentare, nel nome della fratellanza, una particolare forma di carità: quella dell'accoglienza. L'accoglienza di una famiglia cristiana che proviene da un contesto diverso dal nostro e con la quale ci possiamo confrontare e crescere insieme in questo percorso comune verso la verità annunciata da Cristo.

E' un'occasione unica di crescita civile e spirituale. Ascoltiamo l'invito del beato Giovanni Paolo II, “non abbiate paura, aprite le porte a Cristo”.

 

Sul lavoro

Il lavoro è il secondo tema proposto. Esso rappresenta una realtà contingente e necessaria per il sostentamento dell'uomo come singolo e come famiglia. Non può esistere tuttavia alcuna famiglia senza i frutti del lavoro. Diremmo che è condizione necessaria ma non sufficiente.

Il lavoro non necessariamente nella sua accezione di lavoro subordinato. Pensiamo al lavoro non retribuito e incommensurabile svolto delle donne, dalle donne mamme, dai nonni, da parenti o amici.

Tuttavia non sembra banale ribadire il concetto che il lavoro è per l’uomo, è per la famiglia, non il contrario (fallimento delle utopie del Novecento). Il lavoro è anche requisito essenziale per esercitare il libero arbitrio. Non c’è possibilità di scelta senza libertà. Non c’è libertà senza lavoro.

L’ingresso del campo di concentramento di Aushwitz riportava ironicamente la frase Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi, si trattava del titolo di un romanzo tedesco, di Lorenz Diefenbach).

Il regime nazista attuò una macchinazione terrificante che, facendo leva sulla funzione sociale che il lavoro ha nella società e in particolare nella comunità ebraica, fece credere ai prigionieri che la condizione di schiavitù fosse in qualche maniera utile e necessaria al regime, e per lo stesso motivo garanzia di sopravvivenza. In realtà, come sappiamo, era l’esatto contrario: attraverso la costrizione e lo sfruttamento del lavoro è stata attuata una terribile campagna di prigionia prima e di sterminio

di massa poi.

Il lavoro come condizione terrena che concorre in larga misura alla libertà dell’individuo. Ed è fondamentale che la scelta di vita cristiana sia consapevole e maturi, per quanto possibile, in un contesto di libertà. Non si può scegliere di essere cristiani per convenienza. In questo senso la Catechesi è attività fondamentale. Una catechesi che ponga domande più che risposte.

Una catechesi che solleciti riflessioni su questioni nuove a attuali. Una catechesi reale e non astratta che, partendo dalle fatiche e dai problemi della quotidianità, ci riconduca alla verità della promessa cristiana.

In questo particolare frangente storico, ce lo ricorda il nostro Arcivescovo Scola, “la famiglia si rivela l'ambito più colpito e, nello stesso tempo, più capace di sostenere i propri membri nelle loro fatiche”.

Non sembra inutile innescare in questa occasione talune riflessioni riguardanti il lavoro nella sua dimensione cristiana e nella sua prospettiva laica. Sul ruolo che noi cristiani abbiamo anche nella nostra sfera lavorativa e quotidiana. Non possiamo ricordarci di essere cristiani solo quando la sera ritorniamo a casa o quando la domenica andiamo a messa.

Siamo chiamati tutti ad una forma di sobria coerenza, senza proselitismi e sconfinamenti che possano indurre ingerenze.

Il lavoro nella sua dimensione nazionale. Il lavoro come fondamento del nostro diritto (Costituzione della Repubblica italiana). L’articolo 1 della Costituzione Italiana recita “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, accostando in questo modo il concetto di democrazia (potere del popolo) a quello del lavoro; fondando addirittura la democrazia sul lavoro. A prima vista sembrerebbe un assioma che ribalta i termini, ovvero che il lavoro prevalga sull'individuo stesso.

Eppure lo Stato, nella sua visione laica e plurale, riconosce implicitamente al lavoro quella connotazione che direttamente concorre alla piena affermazione della libertà dell’individuo, riconoscendo prima il diritto al lavoro e poi il dovere di concorrere, secondo le proprie possibilità (ammalati, invalidi, diversamente abili etc.) e la propria scelta, con un'attività o una funzione che contribuisca al progresso materiale o spirituale della società. Quindi il diritto al lavoro precede il

dovere di concorrere al progresso della Nazione. Un progresso dunque non solo materiale ma anche spirituale. Un progresso sul quale oggi dovremmo interrogarci con maggiore lungimiranza come cristiani e come semplici abitanti del creato.

Sulla qualità e consistenza di questo progresso che non può reggersi sulla presunzione di illimitatezza delle risorse del creato. Un progresso che dovrebbe fondarsi sulla sostenibilità intesa come diritti da preservare alla future generazioni, invitandoci a ribaltare il nostro punto di vista.

Invitandoci con più umiltà a pensare a chi viene dopo di noi, alle future generazioni, ai nostri figli.

Il mondo non lo abbiamo ereditato dai nostri genitori, ma preso in prestito dai nostri figli. (Anonimo)

L'invito è quindi a riflettere sulla dimensione cristiana del lavoro come sostegno materiale irrinunciabile per la famiglia. Come fatica e sacrificio necessari al nostro cammino di maturazione e di crescita terrena come individui e come cristiani.

Lo sapevano bene i nostri nonni che, mantenendo saldo il contatto con la terra che lavoravano, avevano compreso che anche nella vita, come per la terra, ci vuole tempo, fatica e tanto amore prima che si possamo vedere i germogli. Il lavoro può rappresentare dunque anche una metafora del nostro cammino come cristiani.

 

Sulla Festa

L'ultimo tema di riflessione è quello della festa. E' l'argomento di chiusura di questo grande appuntamento ma anche l'auspicio che ne costituisca la sostanza.

Sul tema della festa, connesso a quello del risposo, le scritture ci rimandano all'atto creativo dell'universo: “in sei giorni il Signore creò il cielo e la terra, il mare e tutto ciò che contengono, riposò nel settimo giorno e per questo il Signore ha benedetto il settimo giorno santificandolo”. (Esodo 20, 1-17).

La domenica è per noi cristiani il compimento del sabato. Gesù -afferma Marco 16,2- risorge il primo giorno della settimana, ovvero la domenica.

E per noi cristiani la settimana dovrebbe essere vissuta non solo in attesa della domenica successiva, ma anche e soprattutto come compimento della domenica come primo giorno della settimana.

La settimana che inizia dovrebbe essere vissuta come occasione di sperimentazione concreta della parola ascoltata.

Il riposo nella sua accezione quotidiana e materiale è anche il compimento della settimana lavorativa. Non può esistere una festa, un riposo, senza un lavoro.

Il tema della festa e del riposo ci invita dunque a riflettere sulla qualità del nostro tempo. Non ci si riferisce solo al tempo liturgico scandito dalle ricorrenze ma, anche e soprattutto, alla qualità del tempo della nostra giornata. Se non riusciamo a trovare il tempo per noi stessi e, attraverso quest’ultimo, per l’incontro intimo con Dio, riusciremo mai a trovare un tempo di qualità, per celebrare pienamente la domenica e le occasioni di festa?

 

Sintesi

Infine vogliamo riflettere sull’aspetto più significativo dei temi da affrontare in occasione di questo evento: il loro rapporto. Non solo è doveroso attuare una profonda riflessione sui singoli argomenti, ma anche una valutazione sul loro rapporto, la loro complementarietà e se vogliamo la loro interdipendenza, alla luce della società contemporanea nella quale viviamo.

Il progetto di vita cristiana è una visione universale della dimensione sociale terrena. E' la visione di chi è consapevole che la risposta ha preceduto la domanda, come ha ricordato il nostro Arcivescovo. La risposta ha preceduto tutte le domande. La risposta è il Dio fatto uomo.

E la famiglia in questo progetto è, al contempo, testimonianza concreta e strumento di evangelizzazione.

La crisi che ci scuote in questo momento non è solo una crisi economica, essa affonda le sue radici nella immoralità, nella corruzione, nella sopraffazione del prossimo, nella seduzione del peccato.

In questo momento di smarrimento e di crisi dei valori fondanti della moralità laica e religiosa urgono testimonianze concrete, esempi e modelli a cui fare riferimento. In un mare in tempesta abbiamo bisogno dei fari per orientare il nostro cammino, abbiamo bisogno degli esempi di santità.

Urgono credibilità, coerenza, sobrietà, umiltà, spirito di sacrificio, amore.

Al modello di protagonismo che sembra affermarsi su scala globale la comunità cristiana può rispondere con un richiamo alla grandezza dell'umiltà.

In conclusione mi è molto caro il ricordo dell'esempio di famiglia cristiana dei Santi Aquila e Priscilla: un esempio che ha accompagnato sul nascere la mia e tante altre famiglie in occasione del corso fidanzati condotto da Don Ettore tra il 2009 e il 2010.

La scelta è ricaduta su due semplici fabbricanti di tende, due giudei convertiti al cristianesimo e appartenenti alla prima generazione cristiana, scelti tra gli umili. Nella loro casa si radunava sovente la comunità cristiana e ospitarono Paolo a Corinto. Paolo li definisce nella Lettera ai Romani (16, 3) “collaboratori miei in Cristo: essi per salvare la mia vita, hanno rischiato la testa; non li saluto io soltanto, ma tutte le chiese dei gentili”.

Con Aquila e Priscilla ci si offre un esempio di famiglia cristiana vera, un modello autentico che trasuda verità. Dio grande e misericordioso dimostra ancora una volta di operare attraverso gli umili e i semplici.

E in questo tempo di avvento il pensiero ritorna in quella grotta di Betlemme dove duemila anni fa Dio scelse i più umili, i pastori, per annunciare l'Agnello, per annunciare la nascita del Salvatore.

 

 

Pasquale Vella

Consiglio Pastorale della Comunità Pastorale Famiglia di Nazaret

Cernusco sul Naviglio, novembre 2011


 

CernuscoInsieme non si assume nessuna responsabilità legata al presente comunicato

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