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“GIOCHIAMO AL TIRO AL BERSAGLIO
CON I BAMBINI DOWN”  


La notizia di questi giorni che imperversa sulle pagine di molti giornali e che scatena accesi dibattiti sul web e sui social network, è quella della creazione di un gruppo, su Facebook, che ha rapidamente raggiunto gli oltre 1.700 iscritti, giustamente già stato oscurato, dal titolo “Giochiamo al tiro al bersaglio con i bambini down”.

La spiegazione di questa assurda proposta sarebbe stata motivata dai creatori con parole del genere «Perché dovremmo convivere con queste ignobili creature... con questi stupidi esseri buoni a nulla? I bambini Down sono solo un peso per la nostra società... Dunque cosa fare per risolvere il problema? Come liberarci di queste creature in maniera civile? Ebbene sì signori... io ho trovato la soluzione. Consiste nell’usare questi esseri come bersagli, mobili o fissi, nei poligoni di tiro al bersaglio» ed accompagnata da aberranti foto, tra cui quella di un neonato con la sindrome di down sulla cui fronte è impressa la parola “scemo”.

Anffas Onlus, che è un’associazione composta da genitori e familiari di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale, tra cui ovviamente anche persone con sindrome di down, non può che guardare a tale episodio con disagio, rabbia, dolore e sofferenza, ed esprimere una severa condanna nei confronti di chi, come in questo caso, inneggia alla violenza, intolleranza e discriminazione di qualunque essere umano.

Tuttavia, avvenimenti del genere, ormai sempre più frequenti, ci spingono ad una seria riflessione su quale sia la cultura, la conoscenza e la rappresentazione della disabilità nella nostra “moderna e civile”, come molti amano definirla, società. Le persone ignoranti ed incivili, alla pari di quelle civili ed umane, esistono sempre e da sempre sono esistite. Il fatto, però, che oltre mille persone nel nostro paese abbiano ritenuto di aderire ad un gruppo simile, che vi siano crescenti episodi di bullismo e violenza nei confronti delle persone con disabilità, ma non solo, che in tv, ma ancora di più, diciamolo, nella vita quotidiana si usi come insulto la parola “mongoloide” o “handicappato” è probabilmente soltanto la punta dell’iceberg di una strisciante e subdola deriva culturale, ormai imperante, dove sovrana regna la paura ed il rifiuto dell’altro e della sua diversità, e dove il rispetto della dignità delle persone, in quanto tali, ha perso ogni valore.
Se questo accade, però, probabilmente la responsabilità è anche nostra, di ognuno di noi.

Ma, in particolare, a nostro avviso, la responsabilità è in parte dei mezzi di comunicazione di massa, che troppo spesso si ricordano della disabilità solo quando fa notizia, quando ci sono storie lacrimevoli e strappalacrime da raccontare, eclatanti vicende di cronaca nera, oppure quando si desidera ammantare di buonismo e pietismo iniziative volte esclusivamente a fare audience.

La “normalità” della disabilità non fa notizia e sono pochi quelli che la raccontano.
E si contano sulla punta delle dita le trasmissioni televisive, le riviste, gli spettacoli nei quali la disabilità viene rappresentata ed inclusa in contesti normali, semplicemente per quello che è: una condizione della vita umana, in cui tutti possono trovarsi da un momento all’altro e che può essere superata se l’ambiente e la società si trasforma in maniera da essere accessibile e da consentire pari opportunità a tutti.

La responsabilità deve essere assunta dalle agenzie educative, prima tra tutte la scuola, ma anche dalle istituzioni pubbliche e religiose, che hanno un ruolo importantissimo per la crescita e costruzione di una identità e responsabilità civile dei giovani. Giovani che si trovano forse impreparati ad affrontare la vita in una società complessa e spesso difficile quale quella dei nostri giorni, dove convivono faticosamente e a volte si scontrano culture diverse, che è attraversata da una profonda crisi, non solo economica, ma anche sociale e culturale, e che genera costantemente disagio, marginalità ed esclusione sociale. Chi è che insegna ai nostri figli il rispetto della vita e dignità umana? Chi è che si prende il tempo di attivare un serio confronto con le nuove generazioni per promuovere la cultura dei diritti umani e sradicare un modello sociale che premia soltanto il più bello, il più ricco, il più furbo…lasciando escluso chiunque a ciò non si conforma?

Qualcuno ha mai spiegato ai creatori ed agli iscritti al gruppo che i bambini con la sindrome di down non sono scemi, né stupidi, né ignobili creature buone a nulla…ma sono semplicemente bambini, punto e basta?

Su questo forse dovremmo interrogarci un po’ tutti.

Anffas ritiene, quindi, che l’unica via per contrastare questa ignoranza che sta sempre più sconfinando in barbarie è che si avviino dei progetti che coinvolgano scuola, Chiesa ed organi di informazione in modo da garantire al “mondo” della disabilità un diritto di informare, sensibilizzare e partecipare in situazione di parità e normalità, per esempio dedicando e dando spazio al movimento delle persone con disabilità ed a chi le rappresenta in trasmissioni primarie, e facendo partecipare le persone con disabilità nel pubblico e nei vari contesti in condizioni di assoluta uguaglianza rispetto agli altri.

La nostra associazione sarà, appunto, domenica 28 marzo nelle principali piazze italiane con la manifestazione “Anffas in piazza” per sensibilizzare i cittadini sui temi della disabilità intellettiva e/o relazionale, per tentare di invertire questo processo culturale e diffondere le tante buone prassi ed i “buoni principi” di cui da anni siamo portavoci.

Giovanni Farina
Presidente Anffas Onlus Martesana
 

CernuscoInsieme non si assume nessuna responsabilità legata al presente comunicato

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