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Riflessioni di un (temporaneo) emigrante 

 

Scrivo da Chicago alcune riflessioni che mi vengono osservando l’Italia da lontano durante un periodo di lavoro presso la De Paul University. Tre in particolar modo sono i pensieri che mi vengono in questi giorni di lezioni a studenti master e Ph.D: immigrazione, integrazione, welfare.

In merito all’immigrazione, io sono un immigrato, ok di lusso come docente universitario ma sono comunque una persona straniera (Alien come la chiamano gli americani) che ora sta lavorando in un Paese straniero. Già l’iter per ottenere il visto (che si paga profumatamente in termini di tasse e bolli) e poi i documenti richiesti (assicurazione sanitaria, certificazioni varie) mi avevano messo in guardia e mi ero di fatto preparato psicologicamente al confronto con la temuta dogana americana famosa per interrogare e questionare la buona fede degli immigranti (dogana comunque che dopo tutto avevo passato già molte altre volte) ma la tensione, la frustrazione al momento del timbro da parte di un anonimo omone che mi guardava dall’altra parte del vetro si scioglie nel momento in cui in cui guardando i documenti mi dice: “Grazie di venire nel nostro Paese e di contribuirne alla sua crescita….”. Sarà stato il fuso, le 9 ore di aereo ma l’emozione è stata tanta….Ne ho parlato con i colleghi qui a Chicago del significato di quella frase e il messaggio che ne ho tratto penso che sia molto valido anche per il nostro Paese: Gli stati uniti sono the land of the freedom ma se vuoi entrarci/restarci devi rispettare le loro regole, non si fanno sconti a nessuno ma poi si è in grado di contribuire alla crescita del Paese anche solo aiutando con le proprie competenze (indipendentemente da quali siano) anche un solo cittadino non solo le porte si aprono ma si è i benvenuti (si pensi invece da noi alle badanti, al personale infermieristico, a tutte quelle professioni di cui abbiamo bisogno a cui invece sembra facciamo di tutto per far sentire di troppo….).

Il secondo pensiero è legato al tema dell’integrazione non tanto o non solo culturale ma quell’integrazione che porta persone di provenienze differenti, con valori diversi a lavorare per il bene comune, per un futuro comune. Questa è una sensazione che raramente si avverte in Italia, Paese dell’individualismo e dello scarso senso dello stato. Lavorare negli Stati Uniti mi sta permettendo di conoscere un sentimento che finora da semplice turista non avevo avuto modo di avvertire e a cui forse non ero solo più abituato: un senso di partecipazione, un senso di sacralità delle istituzioni e dell’assoluta trasparenza di chi ne ricopre il ruolo che è esploso in un dolore profondo quando un collega professore associato di origine indiana mi ha chiesto il perché di alcune notizie che aveva letto sul Financial Times e sull’Economist.

il terzo pensiero che invece mi inorgoglisce molto, è la continua richiesta di effettuare presentazioni e di testimonianze a studenti e a docenti sul nostro sistema sanitario nazionale (che è il secondo al mondo secondo l’organizzazione mondiale della sanità e che ha risultati infinitamente migliori di quello statunitense a livello di speranza media di vita, di mortalità infantile, di decessi per ipertensione, diabete, e si potrebbe continuare…) e sul sistema scolastico che garantisce (sinceramente non credevo ai dati che mi venivano portati) una educazione eccellente che prepara così bene a fronte di un sistema statunitense che a fronte di poche eccellenze (le eccellenze per definizione sono poche) vi sono due terzi delle scuole pubbliche che si sono dotate di metal detector all’entrata e che non riescono a garantire una formazione adeguata per cui chi le frequenta non potrà mai accedere all’università……

Per onestà però è doveroso riportare che nel momento in cui presentavo alcune ultime “riforme”a livello scolastico e sanitario si alzava sempre un coro di sorpresa e di unanime preoccupazione che il nostro Paese stesse per caso percorrendo una strada che gli Stati Uniti stanno, anche grazie a Obama, abbandonando….

Salvaguardiamo e proteggiamo quindi il nostro sistema di welfare, il nostro sistema sanitario (che sicuramente, come tutto, può essere migliorato) il nostro sistema scolastico pubblico, investiamo sul futuro dei nostri figli con scuole di qualità e accessibili. Questo vorrà dire avere un sistema Pubblico agente dello sviluppo dell’economia e della prosperità del nostro Paese, un sistema magari costoso ma efficace e sinceramente mi ha fatto sentire orgoglioso di essere italiano il veder riconosciuto come, magari ancora per poco, siano anche gli altri Paesi che vengono a vedere le eccellenze che sono presenti nel nostro sistema pubblico.
 
Prof. Emanuele Vendramini
SDA Bocconi School of Management

 


 

CernuscoInsieme non si assume nessuna responsabilità legata al presente comunicato

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