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Un contributo per Gabriele 




Da domenica non riesco pensare ad altro.

• Gabriele un ragazzo, un tifoso come tanti giovani a cui piace il calcio, muore ucciso da un agente della “stradale” che spara 2 colpi tra 6 corsie di autostrada(!) cercando di colpire un bersaglio distante e in movimento. Il tutto per motivi e con una metodologia di ingaggio assolutamente inconciliabili con la vigente regolamentazione sull’uso delle armi da parte delle autorità di PS e con il buon senso ( NB: per chi non ha mai maneggiato una pistola, colpire una gomma di auto in movimento a 70 metri e in quelle condizioni è roba da record mondiale)

• Il ministro competente non percepisce l’importanza politica del fatto e nel frattempo c’è chi cerca tra le altre istituzioni “minori”( ma non troppo) di nascondere con miseri sotterfugi una verità tanto scottante quanto evidente

• Nella vergognosa catena di omissioni e di tentativi di camuffare la realtà (….la rissa tra tifosi ..il calcio violento..i colpi sparati in aria…) durata diverse ore, a nessuno viene in mente di sospendere le partite di calcio se non altro per interpretare il desiderio e il sentimento di profonda e umana pietas che nella gente, semplicemente, spontaneamente monta minuto dopo minuto. Il paradosso si completa considerando che la sospensione del secondo rito domenicale viene chiesta per primi e a gran voce proprio dai “terribili” ultras che improvvisamente sembrano quelli dotati di maggior senso etico e valoriale a differenza dei vari presidenti, commentatori, onorevoli,questori, giocatori, allenatori e soloni da tv .

• Dopo 12 ore la triste verità viene infine a galla: un giovane innocente è morto non per un incidente ma per qualcosa di molto diverso e molto più grave. Nonostante la gravità dei fatti nessuno (ministro, questore, capo della polizia) sente la necessità di scusarsi pubblicamente, di prostrarsi di fronte a quella famiglia straziata, di spiegare alla nazione attonita, di dimettersi (pratica sconosciuta….in Italia!!!) non solo per Gabriele ma soprattutto per quanto non fatto prima e dopo la sua incredibile morte

• A seguito di questi fatti orribili monta un’indignazione enorme che gli ultras hanno espresso a “modo loro”. Anch’ io ho, nel mio piccolo, sentito un dolore senza pari. Domenica sera avrei spaccato tutto dalla rabbia.

• Ho servito, bene o male, il nostro stato per più di 10 anni, ma mai mi sono sentito lontano da esso e dalle sue istituzioni come in queste ore.

• Ho sempre creduto che lo stato, le istituzioni e i loro rappresentanti debbano porsi “per ruolo” un centimetro sopra “il semplice comune cittadino”. Ma un centimetro solo e “guadagnato” con comportamenti di riconosciuta autorevolezza e non di malcelato e imbarazzante autoritarismo. Ci ho creduto da sempre, ma fatti come questi mi fanno pensare che il centimetro sia ormai diventato un metro di arroganza invalicabile. Una distanza che ho l’impressione, la gente comune non è più disposta a tollerare.

La proposta per ricordare Gabriele

Credo che la nostra comunità possa fornire un contributo per abbassare questo metro per riavvicinare istituzioni e cittadini, sempre più pericolosamente in rotta di collisione.

Penso che la nostra città possa dare un contributo per onorare Gabriele. Con un gesto concreto possiamo diventare, come città, un primo esempio virtuoso per evitare che simili tragedie si possano ripetere.

Chiedo quindi che le nostre istituzioni comunali, sindaco e assessore Mandelli in primis, pongano attenzione alle problematiche del potenziale uso improprio di armi da fuoco e lavorino su quelle che attualmente sono in dotazione sul nostro territorio.

Penso ad una azione realizzata di concerto con la nostra Polizia Locale e con i sindacati dei nostri agenti, perché un aiuto ai cittadini passa prima di tutto attraverso un aiuto allo “status” formativo e psicologico dei nostri agenti e non certo attraverso la loro demonizzazione .
Penso a una sensibilizzazione degli agenti attraverso specifici e innovativi corsi di formazione che diano loro indicazioni sempre più puntuali sull’uso corretto delle armi in situazioni di emergenza .
Penso anche a colloqui sistematici dei nostri agenti con psicologi ed esperti in grado di discernere quanti uomini o donne oggi armati per motivi di servizio siano veramente a loro agio con un chilo di ferraglia al cinturone, piuttosto che con strumenti meno impattanti e forse più efficaci per il loro specifico e prezioso servizio (immobilizzatori elettrici per esempio…).
Penso ad un aiuto reale rivolto a chi, per necessità “stipendiale”, è costretto a maneggiare un’ arma ma che per indole non lo vorrebbe fare e con essa si sente a disagio.
Penso a specifiche note e test psico-attitudinali da inserire come obbligatori nei procedimenti concorsuali per l’assunzione di agenti.

(Durante il mio servizio militare ho dovuto istruire centinaia di militari al poligono. Io stesso, nonostante mesi di confidenza quotidiana con le armi e migliaia di colpi sparati, ho sempre intimamente pensato che mai sarei stato in grado di impugnarle per strada o contro qualcuno. Ho visto militari con 20 anni di carriera tremare con un ferro in mano e sparare alle ortiche. Ho visto persone trasformarsi e sbiancare con una pistola carica di responsabilità sull’incolumità altrui. Ho visto, per qualcuno, pistole pesare 20 chili!!)

Diciamolo chiaro, inutile nasconderselo, le armi da fuoco non sono, fortunatamente, “oggetti per tutti” (soprattutto fuori dai poligoni). Chi le porta senza la dovuta consapevolezza e responsabilità o con fastidio o con paura o per “obbligo di servizio”, diventa un pericolo per sé e per gli altri.

Le armi, evidentemente, non erano strumento adatto anche per la seconda vittima della vicenda di Arezzo : il giovane agente della stradale. Probabilmente con un percorso formativo più completo, lui stesso non sarebbe stato in grado di commettere gli errori giganteschi che hanno compromesso anche la sua esistenza.

Mi piacerebbe infine, che per ricordare Gabriele, un ragazzo di Roma ma che avrebbe potuto essere un “nostro” ragazzo, l’assessore Magistrelli inizi un dialogo con i nostri giovani che vanno allo stadio, cercando di coinvolgerli in percorsi avvincenti e virtuosi.

A Cernusco e paesi limitrofi abitano tanti ex campioni dello sport. Tanti calciatori in attività hanno inoltre compreso che il loro impegno ad educare i tifosi deve essere completo, pena la scomparsa del calcio entro pochi mesi. Perché allora non insegnare il rispetto sportivo attraverso l’unica voce (quella dei loro idoli) che i giovani sembrano ascoltare ?

Grazie per l’attenzione e scusate lo sfogo.


Paolo Frigerio


 

CernuscoInsieme non si assume nessuna responsabilità legata al presente comunicato

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