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HOME > La Nota della Settimana > N° 7/2015

DAL CALO NASCITE, TIMORI PER IL FUTURO

In Italia, nel 2014, sono diminuite sia le na­scite, scese a 509mila, sia i decessi, 597mila (4.000 in meno dell’anno pre­cedente), e il saldo resta ampiamente negativo. E non bastano nemmeno più le madri straniere ad alzare le me­die: ogni donna italiana mette al mon­do 1,31 figli, ogni donna immigrata 1,97. L’Italia dunque resta al di sotto della media europea di 1,58 figli per donna: da un decennio – osserva l’Istat - si rileva regolarmente una ridu­zione della popolazione, scesa a 55,7 milioni di residenti, con una perdita netta rispetto all'anno prima pari a 125mila unità.

Il tasso più alto di fecondità con 1,46 fi­gli per donna va al Nord Italia, il più basso al Sud, con solo 1,32. Interes­sante anche la ripartizione del feno­meno tra aree geografiche, con un Trentino Alto Adige virtuoso che de­tiene il primato di natalità, seguito dal­la Campania, mentre la maglia nera va alla Liguria, che non solo ha il nume­ro più basso di nascite ma anche il più alto tasso di morta­lità. Campania e Trenti­no Alto Adige sono le due regioni più "gio­vani", dove l’età me­dia - 44,4 anni a livello nazionale - scende rispettivamente a 41,5 e 42,9. L’aumento del­l’aspettativa di vita è arrivata a 80,2 anni per gli uomini e a 84,9 per le donne; mentre appare squilibrato il rappor­to tra giovani e anziani, tanto che la fascia d’età meno numerosa, solo il 13,8% di persone, è quella che va da zero a 14 anni. L’Italia inoltre non attrae più i flussi migrato­ri internazionali: nel 2014 ha fatto registrare un saldo positivo con l’estero di 142mila unità. Oggi gli stranieri presenti nel nostro Paese sono 5 milioni e 73mila, l’8,3% dei residenti totali.

 

«Dati che devono far riflettere molto: - ha commentato monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pon­tificio consiglio per la Famiglia - come non preoccuparsi per un’Italia che non solo non va avanti, ma va indietro, e non di qualche decennio ma di qual­che secolo?». Ciò che occorre, ha ag­giunto, «è un sussulto spirituale e cul­turale che allontani la paura del fu­turo», e ciò si ottiene solo se «il tema della famiglia e della generatività vie­ne con urgenza, anzi con prepoten­za, rimesso al centro della preoccu­pazione dell’intera società».

 

«Confrontandoci con gli altri Paesi europei – ha osservato Alessandro Rosina, demografo e docente all’Università Cattolica di Milano, nonché coordinatore scientifico del “Rapporto giovani” promosso dall’Istituto Toniolo, in un’intervista all’Agenzia Sir - notiamo che in Italia mancano quelle condizioni che altrove ci sono. Partiamo dai giovani: se faticano a trovare lavoro e una stabilizzazione occupazionale - problema già presente prima della crisi e ora inaspritosi - è chiaro che le difficoltà del presente fanno posticipare nel futuro scelte impegnative come il formare una famiglia autonoma e fare figli. Siamo tra i Paesi che investono di meno in politiche attive, che li aiutino a inserirsi nel mercato del lavoro e che sostengano il reddito nelle situazioni di disoccupazione. Questo pesa sulle scelte dei giovani, nonostante - come rileva il “Rapporto giovani” - la loro voglia di costruire progetti di vita e il desiderio di avere più di due figli».

 

Carenza di politiche che investano sulla famiglia - «L’Italia, più di altri Paesi europei – ha aggiunto Rosina - da un lato non mette i giovani in grado di costruire solidi progetti di vita, mentre dall’altro registra una carenza di politiche che investano sulla famiglia. All’interno della spesa sociale siamo uno dei Paesi che destina la quota più bassa in investimenti per la famiglia, e questo si ripercuote sui servizi erogati, ad esempio quelli che aiutano la conciliazione tra lavoro e famiglia, come gli asili nido. Senza politiche di conciliazione - nelle quali investiamo molto poco, e al Sud ancora meno - chi ha figli non riesce a conciliare il compito genitoriale con il lavoro e rischia d’impoverirsi, mentre le donne che lavorano, di converso, tendono a posticipare l’arrivo dei figli o a rinunciarvi.»

 

Problema anche culturale – La denatalità evidenzia un problema tanto culturale quanto legato alla carenza di politiche pubbliche adeguate di sostegno alla maternità. «Prima di tutto – continua il demografo - è un problema di politiche inadeguate e carenti. Ma è anche vero che si tende a posticipare la natalità, con una “tattica del rinvio” adottata troppo facilmente e che, alla fine, rischia di complicare la possibilità di realizzare i propri obiettivi di vita.» A parere di Rosina, non servono tanto le misure temporanee di sostegno alla maternità, come per esempio gli 80 euro di “bonus bebè”, quanto vere misure strutturali, come «un fisco più equo, maggiori investimenti in servizi per l’infanzia, politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia. Il bonus bebè non è una misura strutturale, ma è pure vero che in momenti di crisi economica e incertezza può avere un effetto positivo, perché indica che lo Stato vuole fare qualcosa e può scardinare quella propensione al rinvio in chi vuole avere figli. È un segnale positivo in attesa di misure più rilevanti, che però bisogna cominciare da subito a mettere in campo.»

 

I dati statistici sulle nascite in Italia continuano a lanciare segnali preoccupanti per il futuro del nostro Paese e confermano la necessità di agire con urgenza sulle politiche famigliari. È una richiesta che non dobbiamo stancarci di rivolgere a chi, ai diversi livelli di governo delle istituzioni, ha la responsabilità di decidere gli ambiti di intervento e le azioni volte a sostenere le famiglie, soprattutto quelle con figli a carico.

Buona settimana!

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 16 febbraio 2015

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