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HOME > Le Interviste > 8 Dicembre 2014

LE STORIE DI EQUANIMA

Equanima è il nome dell'associazione di promozione sociale di Bari in cui opera la concittadina piccola sorella Anna Mandrini che si racconta in questa intervista

 

In tempi di crisi, il dono e la solidarietà non sono temi “vincenti”: come vi gestite economicamente?
I cassonetti posizionati nelle parrocchie di Bari e dintorni sono circa una cinquantina. I ragazzi che passano a svuotarli con il furgone fanno già una prima selezione, ciò che è sporco, rotto o in cattivo stato viene messo da parte in due container e poi venduto ad una ditta di riciclo. La vendita di questi “scarti” è la nostra principale e quasi unica fonte di finanziamento.
Essa ci permette di pagare l’affitto del “locale-negozio”, la luce, l’acqua, le assicurazioni, il gasolio e riusciamo anche a dare un piccolo rimborso spese ad alcuni volontari. Veramente all’inizio l’idea era di creare dei posti di lavoro, per ora il nostro budget non ce lo permette, ma speriamo in futuro… Comunque il bilancio è in pareggio, non ci manca e non ci avanza niente.
Ovviamente se capitano grosse spese impreviste (tipo il furto del furgone) siamo in serie difficoltà. Solo in quell’occasione abbiamo ricevuto donazioni. Ma per le spese ordinarie siamo autonomi.

Quali rapporti con il territorio in cui siete inseriti?
Fin dall’inizio una delle nostre principali attenzioni è stata quella di “fare rete” con tutti i soggetti pubblici e privati che si occupano di povertà. Innanzitutto le Caritas delle parrocchie, dove abbiamo messo i nostri cassonetti, si sono alleggerite del servizio abbigliamento e inviano i loro assistiti da noi. Così come la Caritas diocesana, le circoscrizioni, i SERT, i centri di accoglienza, le comunità per minori, le congregazioni religiose, le cooperative e le associazioni di vario tipo, ai quali abbiamo presentato il nostro servizio e dato la disponibilità a collaborare.
Inoltre i volontari che fanno servizio al carcere o in ospedale sanno che possono venire da noi e prendere ciò che pensano necessario per le persone che vanno ad assistere.
Ovviamente questo richiede un grande impegno per prendere contatti e mantenerli, per passare informazioni, per curare la comunicazione anche attraverso il sito, face-book, i giornali, ecc. Il comune ci ha inseriti nella lista delle risorse per l’emergenza caldo in agosto e per l’emergenza freddo in inverno.
Con la Caritas diocesana stiamo approntando un servizio di rete che prevede di dare ad ogni famiglia bisognosa una card magnetica, con la quale si accederà a un database. Ogni famiglia con questa card potrà accedere a diversi servizi: dal banco alimentare a quello dell’abbigliamento, dal parrucchiere alla farmacia ecc.
L’idea è anche di distribuire meglio le risorse (che stanno diminuendo) fra tutti quelli che ne hanno bisogno evitando che qualcuno, girando da una parrocchia all’altra, riceva molto, mentre qualcun altro, più discreto e riservato, non riceva nulla.

Ridare dignità alle persone: come si traduce nel vostro quotidiano?
Innanzitutto abbiamo curato molto l’allestimento del locale, che si presenta come un vero e proprio negozio. Ciò che viene messo a disposizione è solo in ottimo stato e di buona qualità. Poi ognuno  riceve una card a punti, che può utilizzare come meglio crede, può scegliere gli abiti che vuole e che gli piacciono di più. La card ha una durata di 6 mesi e possono venire a servirsi negli orari di apertura, che sono quattro mezze giornate alla settimana.  Ma soprattutto ciò che dà dignità della persona è la qualità dell’accoglienza. Non perché sono poveri sono obbligati ad accettare tutto e non possono desiderare un collana o un abitino un po’ sfizioso, sentendosi dire che è una cosa inutile e che devono pensare alle cose più necessarie: perché devono essere solo i ricchi a permettersi di “farsi piacere”? La dignità passa attraverso tanti piccoli dettagli e sfumature, alle quali cerchiamo di fare attenzione. Per esempio, riguardo agli stranieri, ho visto che il fatto di poter dire una o due parole nella loro lingua li fa sentire accolti e accettati, così, nella mia cartelletta, ho in riserva un foglietto con scritte alcune parole in georgiano, quando le pronuncio, per le molte badanti disoccupate che vengono, suscito in loro stupore, gioia e compiacimento.
Per il resto vi rimando alle “Storie di Equanima” che forse fanno capire meglio ciò che voglio dire.

Faith e il bambolotto nero
Di donne incinte, che vengono a preparare il corredino e che tornano poi a farci vedere il bimbo che è nato, ne abbiamo viste tante. Mi ricordo Faith, quella giovane mamma africana, vittima della tratta, che la prima volta è venuta accompagnata dalle suore che la accolgono. Poi è venuta altre volte da sola a farci vedere il suo “tesoro” e a rinnovare il corredo man mano che cresceva. Un giorno, nei sacchi di abiti usati che la gente porta, abbiamo trovato un bambolotto “nero”, bellissimo, nuovo. L’ho messo da parte e quando Faith è venuta le ho chiesto se lo voleva per la sua bambina. La piccola e la bambola sono quasi grandi uguali, ma la bimba è molto molto più bella: l’opera dell’uomo, per quanto perfetta, non riesce a uguagliare l’opera di Dio!

Nuove povertà
Viene un uomo, Giuseppe, sulla quarantina, a chiedere la tessera gratuita per i vestiti. Sembra una persona molto dignitosa; è educato e gentile nei modi. Mi racconta che è separato, fa l’autista degli autobus di città, ha uno stipendio, ma con la separazione si trova a dover passare gli alimenti alla moglie e ai figli e in più deve pagare il mutuo della casa, della quale però non può godere, perché ci vive la moglie. Dopo un periodo in cui è stato accolto da amici, ora dorme al dormitorio della Caritas, perché non ce la fa a pagarsi un affitto. Nuove povertà, appunto.

Ramaz, il geologo
Gli stranieri che vengono al nostro banco abbigliamento sono moltissimi. Molti di loro fino ad alcuni mesi fa lavoravano ed ora, con la crisi, sono i primi a restare disoccupati. E’ venuto Ramaz, mi dice che ha avuto l’indirizzo dell’associazione da un carabiniere che gli ha detto: ”vai là che ti aiutano”. Arriva da me con molte speranze.Gli chiedo che cosa gli serve , mi risponde “Un lavoro”. Gli spiego che noi non abbiamo lavoro da dare, ma che possiamo dargli dei vestiti, che può prendere quello che vuole, quello che gli serve. Ma lui insiste: “Io voglio solo lavoro; so fare tutto, io insegnavo all’Università del Bangladesh, sono geologo, mia moglie insegnava inglese, ma arrivati alla fine del mese, lo stipendio non arrivava mai e così, dopo un po’ di anni ho deciso di partire. Qui ho fatto un po’ di tutto: badante, magazziniere, operaio al distributore di benzina. Ma ora con la crisi mi hanno lasciato a casa. So fare tutto! Dammi un lavoro!” Mi sento completamente impotente, sto male, dentro, … forse lui capisce e dice: “Grazie che mi hai ascoltato, c’è bisogno ogni tanto di sfogarsi!”

Mia figlia si sposa
Un giorno viene una donna senza fissa dimora, dorme alla stazione; ogni due mesi le diamo un cambio completo di vestiti. Ma oggi ha una richiesta speciale. Dice che sua figlia si sposa e vorrebbe un vestito per andare al matrimonio. Le nostre volontarie non aspettavano di meglio. Le trovano un bellissimo abitino nero elegante, aggiungono calze velate, scarpe col tacco alto e una borsetta da cerimonia. La invitano ad andare a provare il tutto. Quando la donna esce dal camerino sembra un’altra persona , alta di statura, elegantissima in nero: se non fosse per qualche buco fra i denti, sarebbe proprio bella! Si guarda allo specchio, ammirata e dice “devo essere degna di accompagnare mia figlia all’altare!” Se questa non è dignità ...

Un cuore da bambino
E poi c’è Gianni il posteggiatore. E’ un uomo semplice, buono, ha un viso tondo, la pelle cotta dal sole e due occhi “indipendenti”, che lasciano spazio a un bel sorriso gioviale, fa il posteggiatore abusivo su un terreno incolto, vicino alla spiaggia pubblica, a poca distanza dalla nostra associazione. Quando ha bisogno di qualche indumento sa che può venirlo a prendere da noi. Ormai siamo diventati amici, anzi, lui ha una sua amica: si è affezionato alla volontaria che lo aiuta a trovare le taglie appropriate a lui e così, quando passa per andare al suo “lavoro”, bussa e chiede se c’è la sua amica, le fa un saluto e poi se ne va tutto contento. Ora verrà l’inverno. Abbiamo già messo da parte per lui un bel giaccone caldo, lo aiuterà ad affrontare quelle giornate in cui il vento di maestrale, soprattutto in riva al mare , ti gela la faccia e tutto il corpo!

Grazie Signore per quel saluto che ogni giorno ci dona, per il suo sorriso buono, per quei suoi due occhi “indipendenti”, per quel cuore da bambino…

 

Anna Mandrini
www.equanima.it

 

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